Il futuro incerto di Industries Sportswear Company

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Nella continua crisi che non lascia molto respiro all’Italia, c’è una storia curiosa che riguarda per certi aspetti un’azienda italiana considerata in grande crescita e espansione: sto parlando della Moncler. Sbarcata alla Borsa di Milano nel 2013, viene considerata come un’azienda sana, robusta, senza particolari problemi sul fronte occupazionale e su quello finanziario. A parte un piccolo dettaglio.

Prima però del suo sbarco alla Borsa di Milano, Moncler ha dovuto cedere alcune parti della propria azienda: in ISC, Industries Sportswear Company, sono stati lasciati i marchi Marina Yachting, Henry Cotton’s, Coast Weber & Ahaus e la licenza per la commercializzazione dei prodotto 18CRR18 Cerruti. ISC che è stata rilevata a novembre del 2013 al 70% dal fondo Emerisque, che nell’aprile di quest’anno ha rilevato anche il restante 30%, arrivando quindi a detenere la totalità di ISC. Fin qui, nulla di particolarmente strano, una cessione di proprietà come ne avvengono tante. Ma il curioso arriva osservando il destino di questi marchi.

Prima dello scorporo di ISC, Moncler nel 2013 aveva presentato un piano di rilancio aziendale che mirava a rilanciare l’azienda in ambito internazionale, spiccando il volo dal mercato interno per andare a conquistare porzioni nei mercati internazionali, soprattuto nei mercati emergenti. Il tutto accompagnato da una riorganizzazione interna, fatta di nuove sinergie professionali e da nuove strategie commerciali per creare un vero e proprio “sistema azienda globale”. Una sfida che mirava a portare l’azienda dal mercato sportswear a quello casualwear di lusso, un mercato molto più remunerativo. L’azienda veniva considerata integralmente nella sua interezza, non si parlava di esuberi, si parlava genericamente di riorganizzazione.

Poi però si parla di sbarco in Borsa, e allora per essere da subito competitivi si è probabilmente pensato che i rami d’azienda non propriamente competitivi era meglio lasciarli ad altri, tenendosi solo il cavallo vincente. Ed eccoci allo scorporo di ISC, e alla sua successiva cessione a Emerisque. E qui il piano di riorganizzazione e rilancio, diventa una specie di piano di salvataggio che prevede 127 esuberi, chiusure, spostamenti di produzione. Insomma, si da l’immagine di un’azienda che gestisce marchi in profonda crisi. Ma sarà vero? Della cessione già ne parlò anche Dagospia in questo articolo del dicembre 2013, portando all’attenzione generale tutta una serie di numeri interessanti.

ISC intanto parla di nuovi investimenti, soprattutto per quanto riguarda la comunicazione e l’apertura di nuovi punti vendita nei mercati emergenti, mirando a ottenere una sostanziale crescita a partire dal 2015. Qualcuno però obietta: ma se prima l’azienda tutto sommato andava bene e necessitava solo di un rilancio, perché ora sotto la nuova proprietà di parla di tutti questi esuberi? Viene spiegato che la crescita che il Gruppo Moncler ebbe fra il 2008 e il 2011 era tutta da attribuire al marchio Moncler, che ha giocato il ruolo di cavallo da soma per la crescita dell’azienda. Ma curiosamente mi chiedo: se per ben 3 anni gli altri marchi sono andati male, perché non pensare prima a un rilancio serio e strutturato? Perché limitarsi ad arrivare a uno scorporo e a una successiva cessione?

Secondo alcune voci di corridoio la situazione di ISC non è esattamente delle migliori: prevedono un calo dei ricavi sia per questo che per il prossimo anno, con un risultato operativo stimato in negativo per il 2015. Un calo consistente del fatturato che ha richiesto questa dolorosa ristrutturazione. Eppure pare che per quanto riguarda gli ordinativi, il calo venga registrato solo da quelli dell’Italia mentre reggono quelli dal resto del mondo. Altro dato che trapela nelle previsioni future è quello che vede un progressivo calo dei costi fissi di ISC fino al 2016, con una conseguente diminuzione del costo del personale. Il che si traduce nei già citati 127 esuberi.

Esuberi che, come riporta Il Gazzettino, intanto sono scesi da 127 a 92: 18 persone nello stabilimento di Como, 4 persone nell’outlet di Vicolungo, 4 nell’outlet di Palmanova, 15 nella sede di Trebaseleghe a Padova e ben 51 nella sede di Mestre. La rappresentanza sindacale unita, in merito, ha dichiarato:
”A fronte degli esuberi, giustificati dal cambio di modello industriale e commerciale, l’azienda si è impegnata a un rilancio del business con un piano industriale, supportato da investimenti triennali per un valore superiore a 20 milioni di euro. Si è quindi convenuto di attivare una procedura finalizzata alla concessione del trattamento di cassa integrazione straordinaria con durata di 12 + 12 mesi per tutte le unità produttive coinvolte e la successiva mobilità a sostegno e supporto dell’eventuale gestione dei relativi esuberi”.
Piano che prevede anche corsi formativi per chi verrà lasciato a casa, e percorsi per un’eventuale ricollocazione presso altre aziende della zona.

Un risultato ottenuto dopo mesi di battaglie, spesso condotte senza il clamore della stampa nazionale, e quindi senza molta attenzione, ma ben raccontate dal blog 127esuberi, che ci mostra come sia labile il confine fra la ristrutturazione e lo smantellamento di un’azienda. E spesso è proprio questo il problema: aziende che vengono smantellate non perché morenti, ma semplicemente per trasferirle all’estero, dove pagare meno la manodopera e dove avere meno obblighi sindacali e più aiuti statali. Un impoverimento del tessuto produttivo italiano che rischia di presentare in futuro un conto sempre più salato.



Categorie:Attualità

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1 replies

  1. L’ha ribloggato su 127esuberie ha commentato:
    Grazie per il sostegno!!!!

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